di Gianmaria Tammaro
Al cinema il 25, il 26 e il 27 novembre con Lucky Red, disponibile solo in lingua originale con i sottotitoli in italiano, il nuovo documentario di Kaku Arakawa non si limita a raccontare il dietro le quinte della lavorazione de Il ragazzo e l’airone, ma è anche uno sguardo intimo e sincero sul regista giapponese. L’approfondimento.
Kaku Arakawa ha seguito per quasi vent’anni Hayao Miyazaki e il suo lavoro. E più di qualunque altro documentarista, biografo o giornalista ha saputo raccontarne le contraddizioni e le fragilità. È stato tanto bravo da trovarsi uno spazio da cui riprendere e osservare il mondo. E solo ogni tanto, quando non c’era nessun altro e la situazione lo permetteva, ha fatto le sue domande. A volte semplicissime, al limite del banale. Altre, invece, spiazzanti. In 10 anni con Hayao Miyazaki, Arakawa ha filmato una parte importante della carriera del regista giapponese, facendo ordine tra il suo processo creativo e il suo modo di confrontarsi con gli altri. Con Never-Ending Man ha catturato il momento in cui, dopo Si alza il vento, Miyazaki ha annunciato il suo ritiro dalle scene e ora con Hayao Miyazaki e l’airone, al cinema il 25, il 26 e il 27 novembre con Lucky Red, disponibile solo in lingua originale con i sottotitoli in italiano, è stato in grado di andare ancora più a fondo.
La caratteristica principale di questi documentari è la loro immediatezza. Non ci sono montaggi particolari, non c’è una ricercatezza grafica; nemmeno la progressione della storia prova a offrire allo spettatore un punto di vista preciso e definitivo su Miyazaki. In ognuno di questi film, e in particolare in Hayao Miyazaki e l’airone, quella che viene messa in scena è una verità poco mediata, più di pancia, istintiva, che non vuole nascondere niente. Hayao Miyazaki e l’airone comincia poco tempo dopo l’annuncio di Miyazaki di voler andare in pensione. E comincia quando decide di tornare sui suoi passi e di lavorare ancora a un altro film. All’inizio, però, Miyazaki non sa né di che cosa parlare né come fare per metterlo insieme. Si muove quasi a tentoni e mentre procede Toshio Suzuki, il produttore dello Studio Ghibli, raccoglie le risorse e il personale e si prepara, proprio come ha detto in diverse interviste, ad affrontare una lavorazione lunghissima.
Se da una parte c’è la vita lavorativa, dall’altra c’è la vita di ogni giorno. Ed è esattamente questa che Arakawa sa raccontare meglio. Hayao Miyazaki e l’airone è un viaggio intenso e tortuoso, a tratti addirittura ingarbugliato, nella mente di Miyazaki. Cosa lo spinge, perché fa quello che fa; in che modo la sua arte lo completa. Non viene mai fuori un’immagine a metà o condizionata dall’idea del pubblico. Miyazaki è Miyazaki in tutto e per tutto. È un uomo del suo tempo, anziano, stanco, eppure ancora nel pieno della sua creatività. Il ragazzo e l’airone ha risposto a una sua precisa necessità: provare ad andare oltre rispetto a quello che aveva già fatto in passato, e chiudere – in qualche modo – un cerchio. E in questo cerchio non ci sono solo i suoi spettatori o i suoi film. C’è tutta la sua esistenza.
Non è un’esagerazione voler paragonare Il ragazzo e l’airone a 8½ di Federico Fellini. Ci sono alcune scene che sono delle citazioni più che evidenti. Ma non è solo questo: per Miyazaki Il ragazzo e l’airone è stato un film in continuo divenire, mai identico, mai prevedibile, mai davvero finito. Proprio come ai tempi 8½ fu per Fellini. Uno dei punti cardine di Hayao Miyazaki e l’airone è la scomparsa di Isao Takahata e l’impatto che questa notizia ha avuto su Miyazaki. Arakawa ha raccolto del materiale incredibile, e non solo perché in pochi, oltre a lui, hanno avuto accesso alle stesse cose. Ma pure perché, con il suo documentario, è stato in grado di costruire un vero e proprio ponte tra il pubblico e Miyazaki. Non ci sono mezze misure, mezzi termini o scene lasciate a metà.
Miyazaki che si lamenta perché stanno lavorando al film come se fosse Evangelion; Miyazaki che scherza quando il resto dello studio lo lascia da solo, una fila più avanti, prima della proiezione di un premontato; Miyazaki che incassa con il sorriso le domande di un bambino che incontra per strada e che non sembra riconoscerlo, e la cui unica preoccupazione davanti alla telecamera che lo riprende è: finirò su Youtube? Miyazaki che si commuove durante il suo discorso al funerale di Takahata; Miyazaki che fuma, che ritorna sugli storyboard, che si lamenta per il mondo che cambia, Miyazaki che sa di essere in ritardo e fuori tempo massimo ma che continua comunque ad andare avanti, a disegnare e a immaginare. Miyazaki che si taglia la barba, proprio sul finale. E che lavorando diventa più magro, più sottile, più scavato. Miyazaki che, all’inizio del documentario, è alle terme, nudo, e fa battute. Miyazaki che viene colpito dalla commozione degli altri e che, di fronte alle lacrime, non riesce a non dire grazie.
Il documentario di Arakawa è pieno di momenti così. Pieno. Ed è questa la sua forza. Probabilmente, con più tempo (per il montaggio e la post-produzione) e soldi, le sbavature delle immagini e delle riprese si sarebbero evitate. Ma si sarebbe perso, in questo modo, anche l’autenticità del racconto di Hayao Miyazaki e l’airone. Non c’è nessun vero limite quando si decide di provare a restituire al pubblico la complessità di un autore. Un documentario, ed è una cosa che in molti tendono a ripetere, non dovrebbe mai prendere una parte. E in un certo senso, nemmeno questo lo fa. Arakawa, però, sa come raccogliere i tanti frammenti che ha ripreso, sa come dargli un ordine e una nuova forma, ed è la forma, con il suo contenuto, a rendere davvero interessante Hayao Miyazaki e l’airone. Anche se proiettato sul grande schermo di un cinema, rimane scarno, quasi spoglio, sostenuto unicamente dalle parole e dai gesti.
Banalizzando, è stato detto che questo film racconta il dietro le quinte della lavorazione de Il ragazzo e l’airone. E, in parte, è così. Ma è soprattutto un film su un modo di intendere il lavoro e l’animazione e sulla visione di uno degli autori più importanti del cinema mondiale contemporaneo. Non c’è niente, dice Miyazaki, se noi non creiamo. Mahito, il protagonista de Il ragazzo e l’airone è lui, mentre l’airone è Suzuki e il prozio, quello che cerca una risposta nel futuro, è Takahata. Miyazaki lo dice chiaramente. Arakawa inserisce più volte, in modo intelligente, frasi che si ripetono, parole che ritornano e una sovrapposizione di battute e di immagini. Se si parla dell’airone compare Suzuki. Se c’è, invece, il prozio, arriva Takahata.
Un buon documentario non viene definito solamente dalla sua fotografia o dalla ricercatezza delle inquadrature. Anzi. I documentari migliori usano immagini rubate, dove il bianco della luce è troppo o troppo poco, e hanno sequenze intere in cui l’audio viene fuori ovattato o deformato. Questa forza grezza, non definita né definibile, li rende più genuini. Più sinceri. E insieme all’immediatezza, la sincerità è l’altro elemento fondamentale di Hayao Miyazaki e l’airone. Arakawa non vuole rivolgersi solamente ai fan, agli spettatori di lungo corso, a quelli che sono cresciuti con i film dello Studio Ghibli e che ne conoscono a memoria le battute; Arakawa vuole allargare il proprio pubblico, raccontando una storia universale. Perché l’arte e il sacrificio che talvolta richiede, con i suoi tempi, le sue scadenze e la sua fatica, sono universali.
Miyazaki diventa una sorta di simbolo. Nato durante la seconda guerra mondiale, figlio di un Giappone martoriato e, oramai, scomparso, radicale nelle sue posizioni contro le armi e il nucleare, deciso, proprio come Takahata, a fare film d’animazione per tutti e non solo per i bambini. Apparentemente inamovibile, e in realtà intimamente fragile. Miyazaki porta con sé il fallimento di una generazione (e di questo parla anche ne Il ragazzo e l’airone) e la voglia di fare diversamente. In poco meno di due ore Hayao Miyazaki e l’airone fotografa un mondo intero e uno dei suoi protagonisti più importanti, e poi va oltre, va nel personale, dal macroscopico delle cose conosciute passa al microscopico delle vicende private. E lo fa con calma, delicatamente, ascoltando, non insistendo, lasciando che siano le stesse cose a trovare il proprio spazio e il proprio senso. E in questo modo, viene fuori quella che è l’intenzione più cinematografica di tutto il film: dare allo spettatore la possibilità di capire e di farsi le domande giuste, senza suggerimenti, senza premere su determinati aspetti o determinati passaggi. Hayao Miyazaki e l’airone è un racconto per immagini potentissimo e ricco, tanto delicato quanto feroce. Contiene l’uomo, l’artista e il sognatore; e soprattutto contiene chi ha fatto del proprio mestiere una ragione di vita. Perché senza quello, semplicemente, non esisterebbe.