di Gianmaria Tammaro
La forza degli sguardi, il ruolo dei corpi all’interno dello spazio e la costruzione delle immagini per sottrazione. Dopo venticinque anni, il capolavoro di Wong Kar-wai torna al cinema con Lucky Red per tre giorni: il 17, il 18 e il 19 febbraio. L’approfondimento.
È un film fatto di sguardi, In the mood for love (al cinema con Lucky Red, in collaborazione con Tucker Film, dal 17 al 19 febbraio, in occasione del suo 25° anniversario). E lo è sempre stato. Ieri, oggi e probabilmente lo sarà anche domani. Sono gli sguardi la prima cosa che colpiscono lo spettatore: il modo in cui si cercano, il loro taglio, la loro pienezza; questa bellezza struggente e riservata che è pronta a esplodere da un momento all’altro senza alcun preavviso. Subito dopo gli occhi, vengono le figure contrassegnate da un’eleganza innata, quasi ancestrale. Lui con i capelli sempre perfetti, pettinati di lato, lucidi, e gli occhi carichi di una malinconia senza nome. Lei alta, sottile, avvolta in vestiti riccamente decorati e con i tratti del viso delicati. Quando parlano, sembrano evocare la voce da un’altra dimensione. Perché non sussurrano, ma non urlano nemmeno. Hanno una loro grazia e una loro presenza: qualcosa che li rende unici rispetto agli altri personaggi.
Siamo nella Hong Kong degli anni Sessanta e ovunque piccole comunità si radunano per stare insieme e per provare a ricreare la stessa atmosfera di condivisione e di solidarietà che c’era nei loro paesi d’origine. Forse è la solitudine; forse, invece, è la nostalgia. In un condominio particolarmente affollato, due famiglie si incontrano per caso. E tra di loro, sempre per puro caso, succede qualcosa. Il marito e la moglie dei due protagonisti iniziano una relazione, e non sappiamo perché. Probabilmente è stato per una frase che si sono detti oppure è tutto partito quella volta che sono rimasti da soli, con la scusa di scambiarsi soldi e ringraziamenti per uno scalda riso elettrico.
Quando i due protagonisti lo scoprono, non sanno che fare. Hanno dato tutto per le loro relazioni – lui ha rinunciato alle sue passioni, lei ha provato ad adeguarsi agli orari e ai viaggi del marito – e ora devono fare i conti con un nuovo tipo di solitudine: una che, dall’esterno, sembra non esserci, ma che in realtà è profonda, intima, impossibile da estinguere o da contenere. Maggie Cheung e Tony Leung Chiu-Wai interpretano i due personaggi principali e sono perfetti insieme. Proprio perché si completano a vicenda, con i loro movimenti, i loro sguardi e i loro corpi. Si toccano, si sfiorano e si cercano. In alcuni momenti, si muovono quasi danzando. Eppure in qualche modo restano sempre distanti, divisi da un muro invisibile. Hanno paura, dicono, di cadere nello stesso errore dei loro compagni. E allora si trattengono: si amano, ma senza amarsi davvero; si vogliono, ma senza abbandonarsi al desiderio. Sono perennemente tesi e perennemente in conflitto, e anche questo si capisce osservando le loro sagome, il modo in cui stanno dritte o in cui solo di rado cambiano postura e si ripiegano su sé stesse.
Per quanto possa suonare banale, In the mood for love è un film sull’amore. Quello vero e bruciante. Quello che sale come una febbre incontrollabile, che avvolge e stringe ogni estremità, che le rende incandescenti e che costringe due persone in un gioco da cui è impossibile fuggire. Prima di essere un lungometraggio con una sua trama, In the mood for love doveva essere l’episodio di un’antologia sul cibo. Ispirato dal romanzo Un incontro di Liu Yichang, Wong Kar-wai, regista e sceneggiatore, ha girato tantissime scene, finendo per utilizzarne solo pochissime. E questo, guardando il film, si nota. La storia si compone per sottrazione: ci vengono date delle informazioni che vengono confermate subito dopo o che, addirittura, vengono date per scontate dai personaggi. Ma noi non sappiamo quando e se sono successe. Siamo in balia degli eventi, della musica, di queste camminate lunghissime al ralenti, prima sotto la pioggia, poi nei corridoi tutti uguali degli uffici e degli alberghi.
Il rumore dei passi funziona come un metronomo: dà il ritmo a ciò che vediamo, ma non è il ritmo in sé. E la bellezza di In the mood for love sta proprio qui: nel suo essere assoluto senza dimenticare il punto di vista più specifico; nel parlare a tutti senza però dare niente per scontato. Non è una celebrazione fine a sé stessa dei buoni sentimenti. È qualcosa di più. È il gioco, lo ripetiamo, di due sconosciuti che imparano a conoscersi. E che prima sono uniti dal dolore per il tradimento subito e che poi decidono di stare insieme perché si rivedono l’uno nell’altra, come se si trovassero davanti a uno specchio. E se lui ride, lei si ritrae. Se lei accenna a uno slancio di interesse, lui rimane sorpreso. Sono adulti, sono sposati. Eppure si comportano come due bambini: stanno appena cominciando a capire come esprimere i loro sentimenti, ciò che sentono davvero. La loro è una nuova vita, e non è un caso se si trovano in una città che per molte persone rappresenta un nuovo inizio.
Gli ambienti sono appena accennati, sempre soffusi, sempre identici. La luce viene dall’alto, solo occasionalmente dalle spalle dei personaggi. Gli uffici si somigliano, mentre le case, appartamentini incastrati a forza in cima a rampe di scale strettissime, sembrano disegnate a mano da bambini con poca fantasia: sono stipate di mobili, di cianfrusaglie, di oggetti. Sono spazi in cui sopravvivere. E sono, volendo cercare a tutti i costi altri significati, come delle ancore a cui la vita, nella sua interezza, prova ad aggrapparsi per non perdere ogni riferimento e certezza. In un film in cui gli sguardi sono così importanti, non vediamo mai né la faccia né tantomeno gli occhi dei due amanti. Sono sempre di spalle, sempre avvolti nell’ombra, mai ripresi direttamente. I due protagonisti sono più che sufficienti, e infatti a un certo punto cominciano a giocare di ruolo, alternandosi nelle parti, facendo finta di essere l’uno il coniuge dell’altra. E prima lo fanno per darsi sicurezza, per dirsi che bisogna essere pronti ad affrontarli, e poi lo fanno perché vogliono stare insieme, perché in questo modo sono felici. O almeno, così credono. Ma il loro è un rapporto teso, non felice, non pieno.
Si sentono sempre limitati. Credono di star facendo un errore, anche se non hanno commesso alcun errore. E non provano nemmeno a giustificarsi: il loro sguardo, poco prima della film del film, cambia. E si trasforma. L’universalità di In the mood for love sta nel suo essere appena accennato, ricco di sfumature, di segni, di gesti che chiunque potrebbe compiere. E non importano né la città né la lingua parlata. Il gioco dei due protagonisti, Su Li-zhen e Chow Mo-wan, è un gioco a cui tutti, prima o poi, finiamo per partecipare. E non è un gioco solo per bambini, anzi. È un gioco d’adulti, di convenienza e di bugie. Costruito sui detti e i non detti, affamato di equilibri e contrappesi. È un gioco in cui non vince mai nessuno ma in cui tutti potenzialmente rischiano di perdere.
Insieme alle immagini, contano i colori: i rossi, il grigio setoso delle giacche, il nero pece dei capelli, quello più sfumato delle permanenti. E poi le dita, lunghe e affusolate, e le sigarette. Quante sigarette vengono fumate in questo film? Tony Leung Chiu-Wai sembra un giocoliere mentre le stringe tra indice e medio, le gira, le osserva, le soppesa. Sta fumando o sta facendo l’amore? E poi c’è il cibo, che è come una costante, un filo rosso, qualcosa che non conta ma che è indubbiamente fondamentale per la tenuta stessa del racconto, visto quanto, poi, è stato tagliato in fase di montaggio. Anche mentre mangiano i protagonisti conservano una tensione e una sensualità spontanee, non mediate, assolutamente pure.
Il cibo li unisce; il cibo è, più di tutto, un’espressione d’amore, di convivialità e di vicinanza. Chi mangia insieme sta condividendo non solo un pasto; sta condividendo le disgrazie che ha vissuto, i pensieri che lo schiacciano e i suoi sogni per il futuro. Mentre il mondo all’esterno si trasforma, con la fine del colonialismo, la vita all’interno di In the mood for love procede lenta e senza alcuna fretta. La speranza viene sostituita dalla consapevolezza, la paura dall’esperienza. Ma l’amore no, l’amore resta. E avvolge ogni cosa. Ed è prima uno sguardo che spia spaventato l’altro e poi una cravatta allentata. Infine è un venditore ambulante di ravioli, stravolto dalla fatica e costretto anche con la pioggia in canottiera. Non ci sono prigionieri e non ci sono trionfatori. In amore, ci dice Wong Kar-wai, le cose succedono e basta. E In the mood for love è un film senza tempo, ancora attuale, archetipico come una tragedia shakespeariana, eppure così moderno da non aver bisogno di una lingua specifica per esprimersi. Perché bastano, e l’abbiamo detto, gli sguardi.
In the mood for love di Wong Kar-wai sarà al cinema dal 17 al 19 febbraio con Lucky Red in collaborazione con Tucker Film. Per consultare la lista delle sale cliccate qui.